allevamento bovini

 

Allevamento bovini, sguardo sulla penisola

L’allevamento di bovini in Italia era pratica già diffusa e ben assodata nell’epoca romana ed etrusca, popoli che sfruttavano la potenza muscolare di razze locali per i lavori nei campi, valendosi anche della possibilità di ricavare latte e carne. Col dominio longobardo la Pianura Padana si è affermata nucleo centrale di allevamento bovino; a tutt’oggi le regioni italiane dove si alleva quasi il 60% dei capi nazionali sono: Piemonte, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna.

Alla fine del 2013 si contavano circa 80mila allevamenti, con una dimensione media di 21 esemplari e 1,5/2 unità lavorative. La filiera bovina presenta un valore di produzione annuale di 3,6 miliardi di euro, con una incidenza sul PIL nazionale dello 0,5%. Le specie attualmente più allevate sono: Chianina, Marchigiana, Romagnola, Pezzata Rossa e Piemontese tra le autoctone e Podolica, Limousine e Charolais tra le altre.

Nel centro-nord italiano l’allevamento di bovini da carne produce soprattutto vitelloni e vitelli mediante strutture di “ingrasso”. Le aziende di piccole dimensioni con allevamento grass fed rappresentano una risposta moderna di alcune aree (come la regione Marche) a determinate lacune mostrate dall’allevamento intensivo (foriero di patologie frequenti e produttore di carni qualitativamente peggiori). Negli impianti intensivi gli animali mangiano sovente silomais (o foraggi essiccati) accompagnato da polpa di barbabietola, orzo, farina di estrazione di soia, semola di grano e granella di mais.

Alcuni piani regionali incentivano l’allevamento brado e semibrado, allo scopo di donare alle mandrie maggiori spazi, libertà e un’alimentazione esclusivamente al pascolo.

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